Dr.Vincenzo CATUCCI
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MALASANITA' E GIUSTIZIA LUMACA
Policlinico condannato ma non paga
Niente cure per un 15enne cieco
Ragazzo diventa non vedente dopo il parto
i genitori ancora in attesa del risarcimento
I genitori: Silvana Scagliola e Domenico Bellino
BARI - La storia di Raffaello inizia 15 anni fa. Quando due settimane dopo la sua nascita fu colpito da un arresto cardiocircolatorio. Accadde al Policlinico mentre i medici lo stavano preparando per una urografia (poi mai avvenuta) per controllare il funzionamento dei reni: il suo cuoricino smise di battere all’improvviso. «Mentre il personale medico presente nella stessa stanza - accusa la madre - non si accorse di nulla. Ero costretta a stare fuori, ma non sentivo il mio bambino piangere e in preda al panico entrai nel laboratorio e vidi Raffaelo cianotico, muoveva appena le manine. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola e solo allora i medici si avvicinarono a mio figlio per soccorrerlo». Seguirono le fasi concitate della rianimazione e passarono lunghi minuti. Minuti fatali che cambiarono per sempre la vita del piccolo: riportò un grave deficit psicomotorio e una cecità completa. Ora vive su una sedia a rotelle e i suoi genitori, Silvana Scagliola e Domenico Bellino, lo assistono 24 ore su 24. Ma Raffaello ha bisogno di sottoporsi a delicati interventi chirurgici ortopedici e a lunghi percorsi riabilitativi affinché la sua situazione non peggiori. Perché dalla sedia a rotelle non potrà alzarsi mai più. Le cure sono costosissime e non convenzionate dall’Asl e il ragazzino avrebbe potuto già iniziarle se fossero arrivati i soldi del risarcimento danni da tempo stabilito e quantificato dai giudici.
Perché dopo 12 anni di calvario la terza sezione civile del Tribunale di Bari il 27 giugno dello scorso anno ha emesso la sentenza di primo grado condannando il Policlinico e i due medici tirati in ballo nel corso del procedimento civile, il professor Antonio Leggio e il dottor Vincenzo Catucci, a pagare il danno subito dal ragazzo: un milione e 400mila euro e 94mila euro per ciascun genitore. Il denaro ad oggi, dieci mesi dopo, non è ancora stato corrisposto. La sentenza di condanna in sede civile (subito esecutiva) dell’azienda ospedaliera e dei due professionisti, non entrando nel merito di eventuali negligenze, ruota intorno al mancato consenso dei genitori ad effettuare quella tipologia di esami clinici ai quali il piccolo fu in parte sottoposto. «Ulteriore e non marginale profilo di responsabilità dei convenuti - scrivono i giudici - deve ravvisarsi nella acclarata violazione dell’obbligo di informazione dei genitori dei piccolo paziente. L’obbligo di informare esaurientemente il paziente circa la natura e le possibili conseguenze di un trattamento terapeutico, viene ascritto alla generale categoria dell’obbligazione, sanzionandone dunque la violazione».
E sulla questione sollevata dai genitori sul perché nessuno si sia accorto che il piccolo era in preda ad un attacco cardiaco i giudici aggiungono:«Appare legittimo chiedersi come mai solo la mamma del bambino si accorgeva, entrando, che lo stesso stava male se nella stanza l’infermiera aveva dichiarato che era presente anche il dottor Catucci. E se, come sostenuto dai sanitari, negli attimi successivi all’incannulamento il neonato andava subito incontro ad un arresto respiratorio come mai il piccolo Raffaello aveva tutto il tempo di divenire cianotico, con cute marezzata e livida se i soccorsi erano stati immediati. Appare dunque plausibile ritenere che il piccolo fosse stato lasciato solo immediatamente dopo l’operazione di incannulamento e che durante la somministrazione della flebo si sia verificata la crisi respiratoria nella totale assenza di assistenza medica e sorveglianza».
Dopo la sentenza i medici e l’azienda ospedaliera hanno presentato appello e una richiesta di inibitoria. Vale a dire un’istanza di sospensione della esecutività della sentenza: istanza che è stata respinta dai giudici della seconda sezione civile della corte di Appello. Ma, nonostante una sentenza di condanna e il rigetto dell’inibitoria, i genitori di Raffaello non hanno ancora ricevuto il risarcimento. Ma c’è di più. «Attualmente è in corso il processo di appello - spiega l’avvocato Domenico Maggiore che assiste i genitori di Raffaello - e la prossima udienza è stata fissata al 28 ottobre 2016». In aula dunque si tornerà tra 4 anni. «La salute del ragazzo peggiora di giorno in giorno - spiega l’avvocato - e le cure e i percorsi riabilitativi sono più che mai necessari, ma il risarcimento non è stato ancora corrisposto». E Raffaello aspetta.
Angela Balenzano
13 aprile 2012
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Malasanità, cieco e su sedia a rotelle per errore medico: Policlinico non paga il risarcimento
(13 aprile 2012) BARI – Un calvario lungo 15 anni. Una sentenza emessa lo scorso 27 giugno che prevede un risarcimento dal Policlinico barese pari a un milione e 494mila euro per ciascun genitore. Somma non ancora corrisposta. È questa la storia anzi la vita di Raffaello affetto da cecità permanente e costretto su una sedia a rotelle, in seguito a un arresto cardiocircolatorio a sole due settimane dalla sua nascita, per il quale, i medici, secondo l’accusa, non sarebbero prontamente intervenuti.
Il piccolo Raffaello, a soli 15 giorni di vita, doveva fare un’urografia. Mentre i medici lo preparavano, improvvisamente si verificò l’arresto cardiocircolatorio. La mamma, Silvana Scagliola, accusa i medici di non essersene accorti e di essere intervenuti solo quando lei entrò in stanza vedendo il piccolo divenire cianotico. Soccorsi non sufficienti o forse non tempestivi. Da allora Raffaello è cieco, è sulla sedia a rotelle ed è continuamente assistito dai suoi genitori. Necessita di cure non convenzionate dall’Asl e ovviamente costose, ma anche di sottoporsi a interventi chirurgici ortopedici e percorsi riabilitativi per consentirgli una vita “migliore”.
Servono soldi per garantire questo futuro a Raffaello. Denaro che i genitori potrebbero avere e utilizzare se venisse dato loro il risarcimento danni stabilito durante la sentenza di primo grado emessa lo scorso giugno.
Un milione e 494mila euro per la madre e la stessa somma per il padre, questo il risarcimento quantificato dai giudici. Una somma mai giunta ai genitori del 15enne. Dopo la sentenza i medici e l’azienda ospedaliera hanno presentato appello e una richiesta di inibitoria, ossia un’istanza di sospensione della esecutività della sentenza. Istanza che, poi, è stata respinta dai giudici della seconda sezione civile della corte di Appello. Ma dei soldi ancora nessuna traccia.
C’è un altro “piccolo” particolare da considerare. La prossima udienza del processo di appello è fissata al 28 ottobre 2016. Fra “soli” quattro anni si discuterà nuovamente di questo caso. Nel frattempo le condizioni di salute di Raffaello peggiorano e del risarcimento che gli spetta nemmeno l’ombra.
Elena Defilippis
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