Perizie false per consentire ai boss della 'ndrangheta di tornare in liberta' o, quantomeno, beneficiare degli arresti domiciliari, lasciandosi comunque alle spalle gli spessi muri delle carceri italiane.
A stroncare il meccanismo ci hanno pensato i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza che stamani hanno arrestato quattro medici e le mogli di due boss della cosca Forastefano, una delle piu' attive nell'alto Ionio cosentino.
Pesanti le contestazioni rivolte dai magistrati della Dda di Catanzaro ai sei, accusati, a vario titolo, di corruzione in atti giudiziari, falsa perizia, false attestazioni in atti destinati all'autorita' giudiziaria, abuso d'ufficio, procurata inosservanza di pena ed istigazione alla corruzione, aggravati dalle finalita' mafiose.
Dall'indagine, denominata ''Villa Verde'' dal nome della clinica del cosentino in cui operavano due dei medici arrestati, e' emerso che i sanitari si inventavano malattie neuropsichiatriche, difficili da contestare, per fare riacquistare la liberta' ai boss. Il neuropsichiatra Gabriele Quattrone, di 63 anni, primario di neurologia del policlinico ''Madonna della Consolazione'' di Reggio Calabria, secondo l'accusa si sarebbe fatto dare poche migliaia di euro dalla moglie di Antonio Forastefano, prima capo dell'omonima cosca e adesso collaboratore di giustizia per redigere, in qualita' di perito nominato dalla Corte d'appello di Catanzaro, un falso certificato favorevole all'imputato.
Adesso Quattrone e' stato arrestato insieme alla donna, Caterina Rizzo (43), a Patrizia Sibarelli (30), moglie di Pasquale Forastefano, esponente di rilievo dell'omonima cosca e ai medici Massimiliano Cardamone (37), medico legale, Franco Antonio Ruffolo (58), psicologo in servizio nella clinica Villa Verde di Donnici Inferiore, e Luigi Arturo Ambrosio (75), posto ai domiciliari, direttore sanitario della stessa clinica privata. I quattro medici erano gia' indagati nella stessa inchiesta dopo avere subito, nel maggio dello scorso, la perquisizione di studi ed abitazioni, ma lo sviluppo delle indagini, i risultati di intercettazioni e verifiche documentali e sul materiale sequestrato hanno indotto i magistrati a chiedere per loro la custodia cautelare in carcere. A corroborare l'impianto accusatorio sono poi giunte le dichiarazioni dei collaboratori Lucia Bariova, convivente di Vincenzo Forastefano, Salvatore Lione, gia' reggente della cosca e Samuele Lovato, affiliato alla stessa cosca, in passato egli stesso ricoverato nella clinica Villa Verde.
FONTE
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VILLA VERDE | False perizie per
aiutare i boss
Operazione dei carabinieri, sono finiti in carcere il professor Gabriele Quattrone, 63 anni, di Reggio Calabria, il dottor Franco Antonio Ruffolo, 58 anni, di Rogliano, il dottor Massimiliano Cardamone, 37 anni di Catanzaro e il dottor Arturo Luigi Ambrosio, 75 anni, di Castroliber
I boss della 'ndrangheta riuscivano a evitare il carcere grazie a false diagnosi di patologie neuropsichiatriche rilasciate da medici compiacenti. Rapporti di complicità tra camici bianchi e uomini dei clan Forestefano e Arena che sono stati svelati da un'inchiesta della Dda di Catanzaro. Le sei persone raggiunte dall'ordinanza emessa dal gip devono rispondere di corruzione in atti giudiziari, falsa perizia, false attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, abuso d’ufficio, procurata inosservanza di pena ed istigazione alla corruzione, aggravati dalle finalità mafiose. Sono finiti in carcere il professor Gabriele Quattrone, 63 anni, di Reggio Calabria, il dottor Franco Antonio Ruffolo, 58 anni, di Rogliano, il dottor Massimiliano Cardamone, 37 anni di Catanzaro e il dottor Arturo Luigi Ambrosio, 75 anni, di Castrolibero. Quest’ultimo ha ottenuto gli arresti domiciliari. Il provvedimento del gip di Catanzaro che ha accolto la tesi del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, ha raggiunto anche due donne Caterina Rizzo, 43 anni, moglie di Antonio Forastefano, oggi collaboratore di giustizia, e Patrizia Sibarelli, 30 anni, moglie di Pasquale Forastefano.
Secondo le accuse Quattrone, nominato perito dalla Corte di appello di Catanzaro per verificare le condizioni di salute di Antonio Forastefano, avrebbe ricevuto dalla moglie del boss cosentino la promessa di una somma di danaro pari a 5.000 euro, in parte ricevuta, nonché l’ulteriore somma di 636, 21 euro da Ambrosio, consulente della difesa di Forastefano, «al fine di redigere un elaborato peritale, attestante una patologia psichiatrica inesistente». Lo stesso medico reggino, sempre nella qualità di perito della Corte catanzarese, avrebbe fornito «un parere mendace, riferendo che le condizioni di salute di Antonio Forastefano erano incompatibili con lo stato di detenzione presso il carcere di Parma che non poteva garantire la necessaria assistenza psichiatrica, psicologica e psicoterapeutica quotidiana». Ambrosio e Ruffolo, come consulenti di parte, «attestavano falsamente che lo stesso Antonio Forastefano era affetto da patologie psichiatriche tali da renderlo incompatibile col sistema carcerario indicando come necessaria la sua allocazione in una struttura clinica esterna al circuito penitenziario». Il medico catanzarese Cardamone, invece, avrebbe dichiarato di non versare in condizioni di incompatibilità con la nomina a perito del tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, nonostante «avesse in precedenza ricevuto incarico di consulenza» da parte della difesa di Nicola Arena. Il professionista avrebbe, inoltre, aiutato l'affiliato al clan Arena «a sottrarsi all’esecuzione della sentenza di condanna ad anni 6 mesi 10 di reclusione». Una sua relazione psichiatrica, infatti, venne «utilizzata per richiedere il differimento della pena, a causa di patologia psichiatriche inesistenti». Un altro medico dipendente di una clinica privata del cosentino è indagato per avere annotato «in cartella clinica fatti mai avvenuti». In particolare, certificava un tentativo di suicidio e le conseguenti operazioni di rianimazione in realtà mai verificatisi.
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Su una spiaggia della Calabria, precisamente quella di Ioppolo, un centro a pochi chilometri daCapo Vaticano, è stato arrestato Roberto Matalone, di 35 anni, un boss conosciuto nell’ambito della criminalità di Rosarno. Il boss è il cognato di Ciccio Pesce, in quanto ha sposato la sorella Maria Grazia ed è coinvolto nell’inchiesta “All Inside“. Ci sono voluti due mesi di indagini e di appostamenti per riuscire a rintracciarlo. Matalone era comodamente seduto al sole su una sdraio, stava leggendo “Cacciatori di mafiosi“, il libro di Andrea Galli che parla anche della cattura di Pesce.
I carabinieri sono riusciti ad arrivare al boss seguendo i movimenti dei familiari, soprattutto quelli della moglie Maria Grazia, la quale spesso di notte si allontanava da Rosarno, per raggiungere Ioppolo, in una villa con piscina e giardino.
Già nelle operazioni contro la ‘ndrangheta a luglio sono finiti in carcere il professor Gabriele Quattrone, il dottor Franco Antonio Ruffolo, il dottor Massimiliano Cardamone, mentre il dottor Arturo Luigi Ambrosio è ai domiciliari. L’inchiesta condotta dai carabinieri del Ros di Catanzaro ha portato a scoprire un giro di corruzione con certificazioni false che i medici concedevano a boss della ‘ndrangheta. Grazie a certificazioni di malattie inesistenti, molto spesso malattie mentali, gli affiliati alla criminalità organizzata riuscivano ad ottenere gli arresti domiciliari.
In molti casi i medici corrotti erano in doppia veste. Prima certificavano la finta malattia dei boss e successivamente si occupavano di verificare la malattia in qualità di periti nominati dai giudici del tribunale di Catanzaro.
Un’altra inchiesta ha portato nella mattina di lunedì 16 luglio all’arresto di 26 persone da parte dei Ros dei carabinieri. L’indagine, denominata Reale 5, ha portato a scoprire delle alleanze trasversali tra i boss della cosca Pelle della ‘ndrangheta di San Luca con altre famiglie di Reggio Calabria e del Piemonte. Per mezzo di queste alleanze tra famiglie, i boss potevano mettere in atto delle strategie comuni e trattare qualsiasi genere di questione, dalla pianificazione di rapine al sostegno per quanto riguarda i latitanti.
Si è scoperto che c’erano delle visite assidue da parte di rappresentanti di cosche del territorio nella casa di Giuseppe Pelle. L’obiettivo era quello di affrontare e risolvere contrasti, oltre che ribadire il rispetto nei confronti della cosca Pelle.
In un’intercettazione si possono sentire queste frasi: “Noi siamo stati sempre una famiglia. A compare Antonio e a tutta la famiglia, a uno per uno… dal piu’ piccolo al piu’ grande. Mi sono sentito che siamo un’unica famiglia“.
A marzo è stata condotta un’operazione contro la ‘ndrangheta nel cosentino dal nome “Tela del ragno“. In totale sono state emesse sessantatre ordinanze di custodia cautelare in un’inchiesta che ha visto indagate ben 250 persone in alcune regioni d’Italia. I carabinieri di Cosenza e del Ros hanno condotto la nuova operazione nella mattina di venerdì 30 marzo, eseguendo le 63 ordinanze di custodia cautelare e diversi sequestri.
In particolare sono stati sequestrati beni del valore di 15 milioni di euro in un’operazione che ha portato all’arresto di persone che sono accusate di essere coinvolte in diversi episodi criminalisoprattutto nella zona tirrenica.
Successivamente alla conclusione delle indagini sono scattate le manette per persone che vengono ritenute coinvolte in affari illeciti per quanto riguarda la gestione di appalti pubblici. Le accuse sono molteplici e riguardano innanzi tutto l’associazione mafiosa.
Ma gli arrestati sono accusati anche di usura, estorsione, omicidi e tentati omicidi. Sembra che a queste persone possano essere fatti ricondurre 12 omicidi e tre tentativi di uccisioni. Si parla in particolare delle guerre tra cosche mafiose negli ultimi 30 anni.
In pratica era stato stipulato un vero e proprio accordo tra le cosche mafiose che avevano deciso di predisporre una tregua, ma questo periodo di tranquillità è durato poco a causa dell’opposizione di alcuni componenti delle cosche.
Nell’operazione condotta dalla Dda di Catanzaro sono state colpite le cosche Lanzino-Locicero di Cosenza (che ha preso il posto di quella dei Perna-Ruà), Muto di Cetraro, Scofano-Mastallo-Ditto-La Rosa e Serpa di Paola, Calvano e Carbone di San Lucido, e Gentile-Besalvo di Amantea.
Sembra anche che erano state le cosche Perna, Cicero, Lanzino e Ruà a stabilire gli assetti di comando da parte dei vari gruppi nel territorio, dettando anche alcune regole comuni con gli altri gruppi della ‘ndrangheta. Altri arresti, in un’operazione che coinvolge 250 persone, sono stati effettuati anche in Lombardia, nel Lazio e nel Veneto.
FONTE
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