Questo Blog nasce per dare una VERA GIUSTIZIA a tutte le vittime dei camici bianchi... al MIO AMATISSIMO GERARDO (clicca qui) ed a tutti i Nostri ANGELI...
Forse visti gli andazzi della "giustizia" italiana.. non potremmo mai dire GIUSTIZIA E' FATTA, e pertanto affinché non vi siano più altri Agnelli mandati al Macello.. memorizzate i nomi e riguardatevi il vostro unico Bene Prezioso = la VITA!!
a noi resta la Coscienza in Pace di aver avvisato

giovedì 28 febbraio 2013

INDAGATI 9 SANITARI DELL'OSPEDALE SANTA MARIA DELLA SPERANZA


In ospedale per una settimana senza partorire, il bambino muore

Mercoledì, 27 febbraio 2013 - 11:25:00

ospedale
Era rimasta in ospedale troppo a lungo senza poter partorire. Il suo bambino è morto, soffocato dal cordone ombelicale. La donna di 33 anni doveva partorire nel pomeriggio di sabato quando ha scoperto di essere incinta di un feto morto. La donna era ricoverata da una settimana all'ospedale di Battipaglia e in famiglia c'era grande attesa per la nascita del bambino. La scoperta è avvenuta dopo una semplice ecografia di routine. Il marito ha subito denunciato l'accaduto e la procura ha aperto un'inchiesta sequestrando la cartella clinica.

Sono nove ora gli indagati fra medici e infermieri iscritti nel registro degli indagati della procura di Salerno. Si tratta dei sanitari che hanno assistito la donna nei sei giorni di ricovero all'ospedale Santa Maria delle Sperenza . Tra  questi anche il responsabile dell'unità di ginecologia. Il pm consegnerà l'incarico per effettuare l'esame autoptico sul corpo del piccolo per capire quali sono state le cause del decesso.
Il reato ipotizzato dagli inquirenti è quello di interruzione colposa di gravidanza, forse innescata dal soffocamento del feto causato dal cordone ombelicale rinvenuto attorcigliato al collo. Le indagini intendono chiarirse se la morte del bimbo mai nato sia attribuibile a negligenza medica e se il neonato poteva essere salvato tramite un intervento quando la gestante è arrivata in ospedale. I medici avrebbero atteso per evitare un parto cesareo in favore di quello naturale.

venerdì 1 febbraio 2013

CONDANNATO MATTIA VANDI , 4anni e mezzo - per abusi su minori


Abusava di pazienti minorenni medico condannato a 4 anni e mezzo

Rimini 31 Gennaio 2013

Quattro anni e mezzo di reclusione per abusi e molestie sessuali. 
Questa la condanna inflitta a  Mattia Vandi, 41enne, psicoterapeuta infantile, accusato di aver abusato
di alcuni suoi giovanissimi pazienti. Il medico era già stato condannato a Rimini in primo grado a tre 
anni di reclusione per violenza sessuale su minori. In Appello i giudici bolognesi hanno valutato entrambi 
i casi violenza sessuale a tutti gli effetti. I fatti in questione risalgono al periodo 2001-2002 e le vittime 
accertate sono due di 10 e 11 anni. Tutto era partito da una segnalazione fatta da un’assistente
 sociale che aveva ascoltato la confidenza della madre di un bimbo oggetto di attenzioni.

mercoledì 23 gennaio 2013

CONDANNATO GIANNI BERTOLOTTO - ALBA


ALBA
14.01.2013 - TRIBUNALE

Medico condannato per truffa all'Asl

Rifornimento di medicinali ai pazienti. Assolto farmacista

GIUSEPPINA FIORI

Il medico di base Gianni Bertolotto è stato condannato dal tribunale di Alba a otto mesi di reclusione con la condizionale per truffa nei confronti dell’Asl Cn2 e per esercizio abusivo della professione di farmacista, in merito al rifornimento di medicinali ai pazienti che visitava a casa o in studio. Assolto il farmacista Vittorio Verona, titolare della farmacia di Magliano Alfieri, dal concorso in truffa con Bertolotto. Medico e farmacista sono stati assolti da altre presunte irregolarità nella distribuzione di farmaci. Il tribunale ha anche condannato Bertolotto a risarcire il danno all’Asl Cn2.
La vicenda su La Stampa Cuneo di lunedì 14 gennaio.  

martedì 28 agosto 2012

CONDANNATO ROBERTO MARASSO, 12 ANNI ,TORINO

Stuprò pazienti, medico condannato

Torino, 12 anni di carcere a pneumologo


FOTO LAPRESSE

Lo pneumologo Roberto Marasso, accusato di avere molestato nove pazienti mentre le visitava nel 2009 e 2010, è stato condannato dal tribunale di Torino a 12 anni di reclusione per violenza sessuale. Il collegio presieduto dal giudice Maria Iannibelli ha accolto la richiesta di pena avanzata dal pm Marco Sanini. Secondo l'accusa, il medico in ospedale faceva spogliare le pazienti e poi, con la scusa di effettuare visite approfondite, ne abusava

FONTE


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01/08/2010 - AL SAN GIOVANNI BOSCO

Visite hard in ospedale
Arrestato il medico



Sospeso dal lavoro a fine maggio,
lo pneumologo Marasso accusato
da diverse pazienti di molestie

MARCO ACCOSSATO

TORINO

Due mesi fa era stato accusato da alcune sue pazienti di averle molestate in ospedale: «Doveva essere una visita pneumologica, sembrava un esame ginecologico». Ieri, Roberto Marasso, pneumologo del San Giovanni Bosco, è stato arrestato con l’accusa di violenza sessuale aggravata. Almeno cinque le testimonianze che, al termine dell’indagine condotta dal pm Marco Sanini, hanno convinto il giudice Salvadori a far scattare nel pomeriggio il provvedimento restrittivo: al medico sono stati concessi gli arresti domiciliari. «Prima mi ha fatto togliere la camicetta e mi ha auscultato con lo stetoscopio - è il copione che secondo le testimonianze e l’accusa si è ripetuto più volte in ospedale -. Poi mi ha chiesto di spogliarmi. Sono rimasta in biancheria intima, ma il dottore ha fatto segno di togliere tutto».

Esplorazione, la chiamava Marasso. Le donne che hanno raccontato la loro esperienza all’avvocato Silvia Termini hanno riferito tutte una storia analoga: «Il dottor Marasso diceva che poteva esserci un tumore all’origine dei disturbi respiratori. Che non bastava auscultare, bisognava approfondire, perché non si poteva tralasciare nessuna ipotesi: doveva sentire le ossa, e per questo ha toccato dappertutto. E doveva sentire anche i linfonodi».

I linfonodi da sentire erano anche quelli inguinali. E qui, stando al racconto delle donne, la visita pneumologica si trasformava in altro: «Ero nuda davanti a lui: inizialmente mi sfiorava - racconta Federica, 25 anni, la prima paziente che ha segnalato all’ospedale quegli strani controlli -, poi mi ha toccata in modo più pesante». In un caso l’«esplorazione» pare sia stata totale: «Il dottore mi ha fatto girare di schiena, mi ha detto di chinarmi in avanti e ha controllato anche lì». Soltanto una donna, una romena di 35 anni, ha avuto la forza di rivestirsi e andarsene, ma il dottor Marasso, secondo quanto racconta la paziente, non ha ceduto: «Stavolta è andata così, ma la prossima bisognerà fare la visita completa». In ospedale, a maggio, erano arrivate tre segnalazioni nell’arco di dieci giorni. Una quarta donna era entrata all’Ufficio relazioni col pubblico del San Giovanni Bosco gridando: «Avete un medico che è un porco!». Poi se ne era andata sbattendo la porta.

Troppe segnalazioni, per pensare a un fraintendimento. L’ospedale aveva immediatamente sospeso il medico, e l’avvocato Gian Maria Nicastro, legale dell’Asl To2 da cui dipende il San Giovanni Bosco, aveva chiesto al pm di valutare anche l’accusa di abuso d’ufficio: «Il “vantaggio ingiusto” per un medico - spiega - può non essere necessariamente monetario, ma anche di natura sessuale». L’avvocato Mauro Vergano, che difende il dottor Marasso, non commenta e ripete quello che aveva dichiarato a fine maggio, quando lo pneumologo è stato sospeso: «Non è mia abitudine fare i processi sui giornali».


FONTE

sabato 25 agosto 2012

CONDANNATI 2 MEDICI, OSPEDALE DI CITTA' DI CASTELLO

Anestesia fatale, condannati due medici

La flautista deceduta si doveva sottoporre a una rinoplastica

Due medici dell’ospedale di Città di Castello, un primario e un chirurgo, sono stati condannati questa mattina per omicidio colposo rispettivamente a un anno e dieci mesi e un anno di reclusione( pena sospesa) per la morte di una flautista durante un intervento di rinoplastica. Condannati anche al pagamento di una provvisionale di 200.000 euro ai genitori della donna.
Chi era Marta Marta Benedetti, flautista di fama nazionale e docente del conservatorio di Trapani, si era rivolta all’ospedale di Città di Castello per risolvere il suo problema legato alla deviazione del setto nasale e dell’ ipertrofia ai turbinati. L’intervento venne fissato per il 23 aprile del 2004. Ma qualcosa quel giorno andò per il verso sbagliato: lei morì appena dopo l’iniezione dell’anestesia.
In aula Questa mattina, la decisione della Corte composta dai giudici Andrea Battistacci, Carla Giangamboni e Marco Veròla che ha accolto in pieno le richieste del pubblico ministero Mario Formisano ( che ha ereditato il fascicolo da Gabriele Paci). Secondo l’accusa, ad uccidere la flautista furono le dosi «esorbitanti» di adrenalina e bupicaina che le vennero iniettate e che provocarono un arresto cardiaco. Per l’accusa, per cui questo è un tipico esempio di malasanità, le dosi di anestetico furono addirittura due. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Daniela Paccoi e Elena Torresi, mentre la famiglia della donna si era costituita parte civile con gli avvocati Pier Luigi Fiori , Letizia Magnini e Gian Mario Cesari
25/11/10

ARRESTATO INFERMIERE ,2ANNI E 2 MESI,Chirurgia Toracica, santa Maria della misericordia,Perugia

Rubava la morfina dal reparto: infermiere condannato a due anni e due mesi

Aveva confessato e si era disintossicato

Rubava la morfina dal reparto in cui lavorava. Lo ha fatto per un paio di mesi nell’estate del 2008, poi i suoi colleghi hanno iniziato ad accorgersi che qualcosa non andava. Che quelle fialette di morfina svuotate e accuratamente richiuse nascondevano qualcosa. Così come quelle riempite con un diuretico che aveva lo stesso colore della morfina. L’infermiere, difeso dall’avvocato Daniela Paccoi, è stato condannato martedì mattina a due anni e due mesi di reclusione.
L’uomo, che prima di arrivare a Perugia nel reparto di chirurgia toracica del professor Daddi era già stato arrestato a Milano e cacciato dall’ospedale in cui lavorava, era accusato di peculato. I fatti per cui poi è stato processato e condannato come chiesto dal pm Manuela Comodi, erano circoscritti a quei due mesi estivi del 2008. Ma non erano pochi episodi. Oltre alle sostituzioni del medicinale, l’infermiere lo sottraeva anche scaricandolo per pazienti che non ne facevano più uso. E il caposala, controllando il registro si era accorto più volte di alcune incongruenze.
Anche i colleghi se ne erano accorti. Un’infermiera nella scorsa udienza aveva testimoniato di essersi resa conto di una volta in cui ad un paziente erano stati segnati 40 mg di morfina, invece risultava averne presi 80. La cosa era andata avanti fino a quando i colleghi e il caposala, ormai certi che qualcuno rubava morfina, non avevano fatto due più due denunciandolo. Al termine dell’inchiesta l’uomo aveva confessato di aver sottratto 80 mg di morfina, e si era sottoposto ad una cura disintossicante
17/05/2011

INDAGATO MORELLI ANTONIO ,CORRUZIONE,


























A Firenze indagine arrivata al capolinea,indagato gastronterologo.

Corruzione,processate giudice e prof

Sanità e Università,tante inchieste : sotto accusa primari e docenti

di CLAUDIO BIANCIARDI

FIRENZE - L'accusa ha le dimensioni e il peso di un macigno, la vicenda meno. Perché nel fascicolo piazzato sul tavolo del pubblico ministero fiorentino Francesco Pappalardo si parla di corruzione di un giudice perugino ad opera di un professore universitario medico, per la precisione gastroenterologo. Ma invece di mazzetta, si parla di una collaborazione, mentre il favore è lo scambio di una data. Se non fosse per il “presunto” regalo l'Ateneo non avrebbe alcun ruolo nella vicenda, quasi tutta personale. La promessa al giudice infatti è quella di un incarico all'Ateneo in cambio di un interessamento ad un fascicolo, anzi ad un divorzio. A finire nel registro degli indagati è il giudice onorario Marta Serpolla quale presunto beneficiario della collaborazione universitaria in cambio di un presunto interessamento per la vicenda personale del professor AntonioMorelli, uno dei gastroenterologi più qualificati del panorama sanitario. L'accusa parla di alcuni incontri, tre per la precisione, in cui Morelli avrebbe chiesto (e ottenuto) al giudice di anticipare la data dell'udienza e quindi della sentenza «facendogli commettere - scrive il pubblico ministero fiorentino - un atto contrario al suo dovere d'ufficio».

Il presunto favore sarebbe questo, sempre dalle parole del magistrato: «...il giudice accettava la promessa del Morelli di interessarsi per farle ottenere un incarico d'insegnamento all'Università...». Secondo il magistrato questo incarico sarebbe stato onorato proprio per l'interessamento del professore. Per David Brunelli invece, avvocato di Morelli, la verità è un'altra: «L'accusa formulata nei confronti del professor Antonio Morelli si presenta già in prima battuta completamente inverosimile, perchè oggetto della corruzione sarebbe una promessa - quella dell'interessamento per un incarico di insegnamento all'Università degli Studi di Perugia - al di fuori della disponibilità sia del mio assistito che di suoi colleghi universitari e che pertanto risulta essere, in considerazione delle condizioni e dei requisiti particolari previsti per il conferimento di questo genere di incarichi, impossibile da realizzare». Eppure il processo va avanti.

Continua a pagina 35

Messaggero 13/01/2009



INDAGATI OTTO MEDICI ,PERUGIA


Perugia: muore un detenuto, otto medici indagati per omicidio
Il Messaggero, 16 settembre 2005

La presunta malasanità pare non risparmiare nessun ambiente. Neanche quello già difficile del carcere. E così otto medici perugini, tre del Silvestrini e cinque del centro sanitario del carcere, fanno il loro ingresso nel registro degli indagati per un’inchiesta in cui si ipotizza il reato di omicidio colposo. Titolare dell’indagine è il magistrato Dario Razzi il cui primo passo è stato quello di disporre l’autopsia sul corpo di un detenuto tunisino morto qualche giorno fa all’ospedale Silvestrini forse per un’emorragia interna. Una morte apparsa subito misteriosa.
Ma per capire i contorni del caso occorre fare un passo indietro. E tornare a qualche settimana fa, cella numero 120 del nuovo penitenziario di Capanne, quello inaugurato a luglio. Un detenuto tunisino, già condannato per reati legati allo spaccio di droga, si lamenta da tempo di un problema sanitario: non riesce a dormire e stare seduto perché afflitto da emorroidi.
La direzione del carcere decide di accogliere le lamentele del detenuto e quindi dispone il suo trasferimento al centro clinico. La struttura sanitaria non si trova a Capanne, ma è ancora attiva nel vecchio carcere di piazza Partigiani. Tutto è pronto per l’intervento, anestesia compresa.
Il tunisino viene sottoposto all’intervento e, apparentemente, non ci sono problemi. Dopo alcune ore di degenza al centro clinico viene riaccompagnato in carcere a Capanne. Lui dice di non sentirsi bene, ma gli viene spiegato che sono solo i postumi dell’operazione appena effettuata. Il malessere però non si placa e raggiunge il suo apice con una prima emorragia. La direzione del carcere nuovo decide quindi di chiedere l’immediato intervento del pronto soccorso del Silvestrini. Il detenuto viene trasportato nella struttura di primo intervento e viene sottoposto alle cure possibili per fermare l’emorragia. ma ogni tentativo appare inutile e il detenuto muore.
Scatta l’inevitabile inchiesta, partono gli avvisi di garanzia e ieri mattina si è tenuta l’autopsia sul cadavere. Riserbo sul risultato, ma conferma per morte da emorragia interna. Dovuta a cosa? Dall’indagine è attesa la risposta.


INDAGATI 150 SANITARI


Perugia, analisi gratis in ospedale
150 sanitari sotto indagine



PERUGIA - L’ospedale di Perugia è la punta dell’iceberg, ma l’inchiesta dei Nas, che qualcuno chiama Parentopoli perché con la truffa delle analisi c’è chi non ha fatto pagare il ticket a parenti e amici, alza il tono.E dopo il medico urologo dell’ospedale di Perugia, batte altri colpi importanti.
Quel medico accusato di peculato, truffa aggravata e abuso d’ufficio non sarà solo nelle informative che partiranno per le procure dell’Umbria. Perché una prima contabilità dell’inchiesta racconta che sono almeno centocinquanta i sanitari sotto indagine, medici e infermieri. Colpevoli, almeno fino a questo punto dell’inchiesta, di aver aperto le porte del servizio sanitario pubblico senza far pagare il ticket.

Magari qualcuno è riuscito a infilare anche le proprie analisi in quelle che mai hanno portato un euro nelle casse delle varie aziende sanitarie regionali.
Già i soldi. Se per il caso più eclatante dell’ospedale di Perugia i carabinieri del Nas hanno contabilizzato un danno di 40mila euro (sono stati trecento i pazienti che non hanno mai pagato il ticket), la moltiplicazione delle prestazioni mai pagate, delle analisi evase e i day -hospital col trucco, potrebbero far salire il conto del danno per le casse della sanità regionale a qualche centinaio di migliaia di euro. Una tombola in tempo di spending review e di corsa al risparmio che deve far riflettere sulla leggerezza di chi, magari senza pensarci troppo, ha aperto le porte degli ospedali ai favori sottobanco.

I centocinquanta che finiscono sotto indagine(medici e infermieri) arrivano dagli ospedali di quasi tutta l’Umbria. Visto che gli uomini del capitano Marco Vetrulli hanno trovato riscontri al sospetto non solo a Perugia, ma anche nei presidii di Foligno, Città di Castello, Castiglione del Lago, Orvieto e Terni. Dubbi prima e riscontri poi che sono stati certificati dopo l’esame di migliaia di prestazioni. Passate al setaccio incrociando i registri dei reparti in cui vengono segnati gli esami eseguiti e le prenotazioni al Cup. Proprio il fatto che non c’erano le impegnative dei medici che richiedono la prestazione (e quindi nessuno aveva pagato il ticket) ha fatto scattare il sospetto e l’indagine. Che si sarebbe mossa su indicazioni precise di quello che, per qualcuno, era una sorta di sistema: trovare il modo per non far pagare le analisi e anche altre prestazioni ambulatoriali a parenti e amici. O ai pazienti, come il caso di Perugia, che pagavano le viste per l’attività privata del medico e ottenevano gli esami gratis. Cioè a spese del sistema sanitario regionale.

Tra le migliaia di prestazioni che sono finite sotto la lente d’ingrandimento dei carabinieri del Nucleo tutela della salute, anche i ricoveri in day hospital. Quelli diagnostici sono diventati il passepartout per l’ipotesi della truffa che galleggia su Parentopoli. Perché chi non aveva bisogno del ricovero ma poteva tranquillamente effettuare la prestazione ambulatoriale facendo la fila e pagando il ticket, sarebbe riuscito ad ottenere il vantaggio di un ricovero-sprint per effettuare gli esami diagnostici (senza sborsare un euro) con la copertura di una micro urgenza. Ed è forse questa parte dell’inchiesta che permetterà di scoprire il maggior danno ai bilanci delle aziende sanitarie in cui i carabinieri del Nas hanno effettuato accertamenti e trovato riscontri che hanno fatto entrare nell’indagine almeno 150 tra personale medico e infermieristico.

Intanto, Catiuscia Marini, presidente della Regione, a margine dell’incontro all’ospedale di Città di Castello sulla riforma della sanità umbra ha rilasciato su sollecitazione un commento sull’inchiesta del Nas sulle analisi facili. «I Nas sono i garanti della qualità dei servizi e dei corretti comportamenti – ha detto –, sono loro la garanzia della salvaguardia. Abbiamo grande fiducia nell’operato e ritiene estremamente utile e positiva l’attività di vigilanza e di controllo che portano avanti. Le inchieste devono fare il proprio corso, noi abbiamo il dovere di sostenere gli organismi di tutela del rispetto delle regole».
Martedì 24 Luglio 2012

CONDANNATO ROCCO BARESI , LAMEZIA TERME



Condannato medico per avances a ragazze

Corte appello Catanzaro conferma sentenza primo grado

24 agosto, 17:10

CATANZARO, 24 AGO - La Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la condanna ad un anno di reclusione inflitta ad un medico di Rosarno, Rocco Barresi, accusato di avere aggredito due ragazze che avevano rifiutato le sue avances.

L'episodio, avvenuto a Lamezia Terme, risale al 2005. Barresi e' stato anche condannato al risarcimento dei danni a favore delle due ragazze. Il medico aggredi' anche i carabinieri intervenuti dopo che le vittime si erano presentate nell'ospedale di Lamezia.

lunedì 20 agosto 2012

INDAGATI :FORTE ATTILIO, BILOTTI ANDREA , ROMANO MARIA PATRIZIA , PIRILLO PASQUALE , ANNUNZIATA , COSENZA

Cosenza, morì dopo il parto
quattro medici indagati

La donna perse la vita a giugno. Sette giorni prima aveva dato alla luce, col cesareo, una bambina. La Procura bruzia ha chiuso l’inchiesta sul decesso di Caterina Loria

Sono quattro i medici in servizio presso l’Unità operativa complessa di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale civile dell’Annunziata ufficialmente indagati per la morte, a soli 27 anni di età, di Caterina Loria (in foto), di San Giovanni in Fiore. Come si ricorderà la giovane donna perse la vita lo scorso 28 giugno all’ospedale di San Giovanni, una settimana dopo aver dato alla luce a Cosenza, col cesareo, una bimba. Sotto accusa sono i medici Attilio Forte, Andrea Bilotti, Maria Patrizia Romano e il primario Pasquale Pirillo, che dovranno rispondere di concorso in omicidio colposo. Gli indagati hanno ora i classici venti giorni per chiedere di essere indagati o produrre le loro memorie difensive. I quattro sono stati chiamati in causa perchè “per negligenza, imprudenza e imperizie, consistite nella prestazione di una inadeguata assistenza clinica, cagionavano - si legge nel capo di imputazione redatto dal pm Di Maio - la morte di Caterina Loria, intervenuta per tromboembolia massiva del ramo principale dell’arteria polmonare, con tromboembolizzazione diffusa del suo letto vascolare, associata a microinfarti emorragici polmonari, secondaria a tromboflebite della vena safena interna sinistra, insorta nel decorso post-operatorio in soggetto sottoposto a taglio cesareo”. Sempre secondo il pm Di Maio i quattro medici indagati, “in presenza di una sintomatologia dolorosa acuta a carico della caviglia sinistra e del polpaccio sinistro, insorta successivamente all’espletamento del parto avvenuto (in data 21 giugno 2011) mediante taglio cesareo e quindi nella fase immediatamente post-operatoria, nel corso delle giornate del 22, 23 e 24 giugno, allorchè la paziente era ospedalizzata, omettevano di valorizzare adeguatamente tale sintomo e quindi di effettuare le necessarie valutazioni cliniche proprie dell’esame obiettivo locale, non attivandosi - secondo la metodologia propria della diagnostica differenziale - per individuare le possibili cause del dolore e quindi pervenire, per tale via, alla definizione della diagnosi”. I medici sotto accusa non avrebbero poi, e sempre secondo il pm, fatto ricorso alla valutazione e alla consulenza specialistica dell’angiologo o del chirurgo vascolare e neanche avviato la diagnostica strumentale tramite esame doppler “al fine di formulare tempestivamente la diagnosi di trombosi dell’asse venoso dell’arto inferiore sinistro”. E poi gli stessi indagati non avrebbero proceduto “al necessario trattamento terapeutico mirato di natura sia farmacologica che fisica (attraverso mezzi elastocompressivi)”, dimettendo e inviando infine al proprio domicilio la giovane madre “nella fase sintomatica acuta”. Per il pm “tali erronee e censurabili condotte determinavano un aggravamento della trombosi venosa profonda e la sua evoluzione in tromboembolia, culminata nell’embolia polmonare acuta che conduceva al decesso della Loria”. E nulla, sei mesi fa, poterono fare i medici dell’ospedale di San Giovanni, dove fu portata dopo l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. La colpa, ha stabilito il pm, sta tutta nei sanitari di Cosenza. Intanto la piccola sta bene e vive col papà nella casa dei genitori di Caterina.
28 dicembre 2011 09:35

INDAGATI BRESCIA GRAZIELLA E BAJARDI DANIELE , IVREA

Caso Russo, due medici indagati

La procura aveva fermato il funerale poco prima della funzione religiosa, ieri c’è stata l’autopsia

IVREA. Ci sono due medici indagati per la morte di Maria Russo, la pensionata di 74 anni deceduta dopo un ricovero e un’operazione di neurochirurgia. Si tratta di Graziella Brescia, medico di famiglia, e di Daniele Bajardi, in servizio all’ospedale di Ivrea. L’ipotesi è di concorso in omicidio colposo. La procura della Repubblica, che nove giorni fa aveva fermato i funerali dell’anziana donna a poche ore dal funzione religiosa, ha dato l’incarico al medico legale Roberto Testi di effettuare l’autopsia, che è stata effettuata ieri. Un esame indispensabile per accertare eventuali responsabilità da parte dei medici.

Il calvario di Maria Russo comincia il 13 luglio. La donna, residente nel quartiere San Giovanni di Ivrea, è sola in casa e chiama uno dei suoi figli per chiedere aiuto. Probabilmente ha un forte giramento di testa. Quando una delle figlie riesce ad arrivare nella sua abitazione, la pensionata Russo ha una brutta ferita alla testa da dove perde molto sangue. La donna arriva in ospedale poco dopo, è cosciente. I medici, però, non nascondono ai figli che la situazione è molto delicata, tanto che Maria Russo viene messa in coma farmacologico.

Ai familiari viene anche spiegato che sarebbe meglio trasferire la loro congiunta in una struttura ospedaliera di Torino, meglio attrezzata. Ma il viaggio è lungo e rischioso, considerate le condizioni cliniche e l’età della paziente. Alla fine viene scelto il reparto di neurochirurgia della Clinica Eporediese.

Qui Maria Russo viene sottoposta a un delicato intervento nel tentativo di ridurre l’ematoma alla testa. Venerdì 20 il suo cuore cessa di battere. Lunedì 23, però, poco prima delle esequie, la procura ferma i funerali. In tutta questa vicenda c’è qualcosa che non va.

Di certo quando Maria Russo è arrivata in ospedale era ancora cosciente e le sue condizioni di salute, prima della caduta in casa, non avevano mai destato particolari preoccupazioni. Stretti nel loro dolore, i figli di Maria Russo preferiscono non commentare quello che sta succedendo e attendono fiduciosi il corso della giustizia.

Graziella Brescia e Daniele Bajardi, i due medici indagati, sono difesi rispettivamente dagli avvocati Claudio D’Alessandro e Pio Coda. «Aspettiamo i risultati dell’autopsia prima di dire qualcosa - spiega l’avvocato Coda - Al momento sappiamo davvero poco su quello che è accaduto».

01/08/2012

FONTE

INDAGATI : RONSINI SALVATORE , FILPI VINCENZO , DEL DUCA MICHELE , DI FILIPPO MARIA ANTONIETTA, TABANO GAETANO, San Luca, Vallo della Lucania

È in pensione ma opera all’ospedale

Vallo della Lucania, indagati il medico e altri 4 colleghi del “San Luca”. L’inchiesta partita dalla denuncia di una paziente


VALLO DELLA LUCANIA. Medico in pensione continuava ad operare in sala parto con il benestare del primario e dei medici di turno. Cinque medici nei guai nel reparto di ginecologia dell’ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania.

Il pm del tribunale di Vallo della Lucania ha emesso cinque avvisi di conclusione indagini: gli avvisi sono stati notificati al primario del reparto di ginecologia Salvatore Ronsini, residente a Vallo della Lucania, e ai medici Vincenzo Filpi (in pensione dal primo settembre 2009), Michele Del Duca (medico chirurgo ma attualmente anche vicesindaco con delega alla Sanità presso il Comune di Camerota), Maria Antonietta Di Filippo di Capaccio e Gaetano Tabano di Roccadaspide.

Tutti sono accusati di usurpazione di funzioni pubbliche (art. 347 c.p.) in concorso di reato (art. 110 c.p.).

I fatti risalgono al 2010 quando una donna di Pisciotta presentò una denuncia all’autorità giudiziaria che ha dato il via all’inchiesta all’interno dell’ospedale di Vallo della Lucania. Le indagini, lunghe e meticolose, sono state coordinate dal procuratore capo di Vallo della Lucania Giancarlo Grippo e hanno visto impegnati, in prima linea, i carabinieri dei Nas di Salerno, del nucleo operativo di Vallo della Lucania e della sezione di polizia giudiziaria del tribunale vallese.

In pratica dalle indagini dei militari sarebbe emerso che il dottore Vincenzo Filpi, nonostante fosse già in pensione, continuava ad esercitare la propria professione all’interno del reparto portando a termine numerosi parti, alcuni anche piuttosto complicati.

Il tutto, secondo l’accusa, con il benestare del primario Ronsini e dei vari medici di turno che consentivano al professionista pensionato di accedere in sala operatoria e di operare al loro posto.

I carabinieri, nei mesi precedenti, hanno interrogato diverse donne e tutte avrebbero confermato la presenza del dottor Filpi all’interno della sala parto.

Ma le indagini delle forze dell’ordine sono tuttora in corso per verificare il perché quest’ultimo continuava a svolgere attività medica all’interno della struttura pubblica sostituendo nel lavoro i suoi colleghi più “giovani”. Ulteriori dettagli potrebbero emergere in sede dibattimentale.

Per il momento la notizia dell’inchiesta ha fatto velocemente il giro del comprensorio dove i cinque medici sono molto conosciuti.

FONTE

LA CORTE DEI CONTI CONDANNA : LA ROCCA GIUSEPPE,SERIO FRANCESCO,PETTA GIUSEPPE, CANZONE GIUSEPPE ,PALERMO


Cinque medici condannati a pagare quasi 100 mila euro
PALERMO - La Corte dei Conti ha condannato a pagare quasi 100 mila euro 5 medici dell'ospedale di Termini Imerese: usavano la struttura pubblica per visite private. Sono il primario di ginecologia e ostetricia Giuseppe Canzone (22.500 euro) e altri tre medici della stessa équipe: Giuseppe La Rocca (34.500 euro), Francesco M. Serio e Stefano Giallombardo (poco più di 20 mila ciascuno). L'ortopedico Giuseppe Petta pagherà 4.500 euro: operava in regola ma fatturava la metà.
17 agosto 2012

CONDANNATO LUCA NANNETTI PER ABUSI SESSUALI, L'ASL LO SOSPENDE, PRATO


Il medico sospeso condannato per il sesso col minore

PRATO. E’ stato condannato a 4 anni di reclusione per aver avuto rapporti sessuali con un ragazzo che non aveva ancora compiuto 16 anni il dottor Luca Nannetti, il medico fisiatra in servizio all’ospedale di Prato che l’Asl ha sospeso dal servizio.

Per il dottor Nannetti, 50 anni, l’accusa era di aver avuto una relazione di carattere sessuale, e forse consensuale (ma ai fini del Codice penale non cambia nulla) con un ragazzo.Relazione che sarebbe durata un paio di anni prima di interrompersi nel 2009, quando il ragazzo aveva 16 anni.

I fatti sarebbero avvenuti in provincia di Firenze. Il medico è comparso davanti al gip e i suoi lergali hanno chiesto il patteggiamento, su una pena di due anni di reclusione, ma non è stato trovato l’accordo con la pubblica accusa e così Nannetti è stato giudicato e condannato col rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo sulla pena.

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L’accusa contro il medico: rapporti con un minorenne


PRATO. Un medico condannato per aver avuto rapporti sessuali con un ragazzo che non aveva ancora compiuto 16 anni non può restare al suo posto di lavoro in ospedale. E’ questa l’accusa che ha portato alla condanna a quattro anni di reclusione (in attesa dell’appello) per il dottor Luca Nannetti, fino al 19 luglio in servizio all’Unità di recupero e rieducazione funzionale dell’ospedale. E ora si comprende un po’ meglio anche l’alone di riserbo che negli ultimi giorni ha circondato la vicenda, nonostante le domande dei cronisti che avevano letto la delibera con la quale, il 19 luglio, il direttore generale Bruno Cravedi aveva sospeso il medico cinquantenne dal servizio.

Le sentenze, d’altronde, sono pubbliche e prima o poi saltano fuori. Nel caso del dottor Nannetti l’accusa era di aver avuto una relazione di carattere sessuale, e forse consensuale (ma ai fini del Codice penale non cambia nulla) con un ragazzo, parente di alcuni amici del medico. Relazione che sarebbe durata un paio di anni prima di interrompersi nel 2009, quando il ragazzo aveva 16 anni.

Non è dato sapere chi abbia denunciato le attenzioni del medico nei confronti del ragazzo. Quel che è certo è che al medico si contestano fatti avvenuti in provincia di Firenze e che Nannetti, difeso dall’avvocato Gabriele Zanobini, è comparso davanti al giudice dell’udienza preliminare di Firenze, Anna Favi, per rispondere di “atti sessuali con minorenne” (l’articolo 609 quater del Codice).

L’imputato ha chiesto di patteggiare e di essere condannato a due anni di reclusione, ma non è stato trovato l’accordo tra le parti (in sostanza la pena non è stata ritenuta congrua all’accusa) e così Nannetti è stato giudicato col rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo sull’eventuale condanna.

Fonti dell’Asl riferiscono che l’Azienda sanitaria pratese non ha avuto scelta: la sospensione del medico dal servizio sarebbe stata un atto dovuto, in base al dispositivo della sentenza emessa dal gip di Firenze.

FONTE

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prato

L’Asl sospende il medico condannato a 4 anni


PRATO. Un medico dell’Asl di Prato è stato sospeso dal lavoro dopo una vicenda giudiziaria.

Il professionista, il fisiatra Luca Nannetti, ha riportato una condanna penale. La sospensione dal lavoro del medico è stata pubblicata in una delibera dell’azienda sanitaria firmata dal direttore generale Bruno Cravedi, dal direttore sanitario Francesco Bellomo e dal direttore amministrativo Massimo Braganti.

Il documento, coperto da vari omissis, non specifica quale sia il tipo di condanna di primo grado riportato e anche negli ambienti ospedalieri il fatto è poco noto ma la delibera sottolinea come «a seguito della sentenza di condanna la permanenza in servizio del (...) oltre a non essere opportuna crea un pregiudizio alla credibilità dell’azienda in considerazione della gravità dei fatti al medesimo imputati».

La sentenza acquisita dall’ufficio del gip del tribunale di Firenze prevedrebbe per il dottor Nannetti una condanna di 4 anni di reclusione.

La sospensione, se non revocata, dura per un periodo non superiore a cinque anni e fatta comunque salva una successiva valutazione dell’Asl. La decisione nei riguardi del fisiatra stabilisce la sospensione in via cautelare dal servizio ma anche la privazione della retribuzione a partire dal giorno successivo alla delibera dall’Asl pratese. Al dipendente dell’azienda sanitaria Sarà corrisposta un’indennità alimentare pari al 50% dello stipendio tabellare.

La notizia della sospensione è arrivata mentre il medico stava godendo di un periodo di ferie ed è risultata inaspettata da parte dei colleghi

FONTE

FALSE PERIZIE PER I BOSS, ARRESTATI : MASSIMILIANO CARDAMONE ,LUIGI ARTURO AMBROSIO , GABRIELE QUATTRONE, FRANCO ANTONIO RUFOLO,NDRANGHETA , CALABRIA


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in alto da sx:
Ambrosio Luigi Arturo - Quattrone Gabriele -
Cardamone Massimiliano - Ruffolo Franco Antonio













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'NDRANGHETA. FALSE PERIZIE MEDICHE PER FARE SCARCERARE I BOSS. 6 ARRESTI: 4 MEDICI, DUE DONNE DEI CLAN

Perizie false per consentire ai boss della 'ndrangheta di tornare in liberta' o, quantomeno, beneficiare degli arresti domiciliari, lasciandosi comunque alle spalle gli spessi muri delle carceri italiane.

A stroncare il meccanismo ci hanno pensato i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza che stamani hanno arrestato quattro medici e le mogli di due boss della cosca Forastefano, una delle piu' attive nell'alto Ionio cosentino.

Pesanti le contestazioni rivolte dai magistrati della Dda di Catanzaro ai sei, accusati, a vario titolo, di corruzione in atti giudiziari, falsa perizia, false attestazioni in atti destinati all'autorita' giudiziaria, abuso d'ufficio, procurata inosservanza di pena ed istigazione alla corruzione, aggravati dalle finalita' mafiose.

Dall'indagine, denominata ''Villa Verde'' dal nome della clinica del cosentino in cui operavano due dei medici arrestati, e' emerso che i sanitari si inventavano malattie neuropsichiatriche, difficili da contestare, per fare riacquistare la liberta' ai boss. Il neuropsichiatra Gabriele Quattrone, di 63 anni, primario di neurologia del policlinico ''Madonna della Consolazione'' di Reggio Calabria, secondo l'accusa si sarebbe fatto dare poche migliaia di euro dalla moglie di Antonio Forastefano, prima capo dell'omonima cosca e adesso collaboratore di giustizia per redigere, in qualita' di perito nominato dalla Corte d'appello di Catanzaro, un falso certificato favorevole all'imputato.

Adesso Quattrone e' stato arrestato insieme alla donna, Caterina Rizzo (43), a Patrizia Sibarelli (30), moglie di Pasquale Forastefano, esponente di rilievo dell'omonima cosca e ai medici Massimiliano Cardamone (37), medico legale, Franco Antonio Ruffolo (58), psicologo in servizio nella clinica Villa Verde di Donnici Inferiore, e Luigi Arturo Ambrosio (75), posto ai domiciliari, direttore sanitario della stessa clinica privata. I quattro medici erano gia' indagati nella stessa inchiesta dopo avere subito, nel maggio dello scorso, la perquisizione di studi ed abitazioni, ma lo sviluppo delle indagini, i risultati di intercettazioni e verifiche documentali e sul materiale sequestrato hanno indotto i magistrati a chiedere per loro la custodia cautelare in carcere. A corroborare l'impianto accusatorio sono poi giunte le dichiarazioni dei collaboratori Lucia Bariova, convivente di Vincenzo Forastefano, Salvatore Lione, gia' reggente della cosca e Samuele Lovato, affiliato alla stessa cosca, in passato egli stesso ricoverato nella clinica Villa Verde.

FONTE

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VILLA VERDE | False perizie per

aiutare i boss

Operazione dei carabinieri, sono finiti in carcere il professor Gabriele Quattrone, 63 anni, di Reggio Calabria, il dottor Franco Antonio Ruffolo, 58 anni, di Rogliano, il dottor Massimiliano Cardamone, 37 anni di Catanzaro e il dottor Arturo Luigi Ambrosio, 75 anni, di Castroliber

I boss della 'ndrangheta riuscivano a evitare il carcere grazie a false diagnosi di patologie neuropsichiatriche rilasciate da medici compiacenti. Rapporti di complicità tra camici bianchi e uomini dei clan Forestefano e Arena che sono stati svelati da un'inchiesta della Dda di Catanzaro. Le sei persone raggiunte dall'ordinanza emessa dal gip devono rispondere di corruzione in atti giudiziari, falsa perizia, false attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, abuso d’ufficio, procurata inosservanza di pena ed istigazione alla corruzione, aggravati dalle finalità mafiose. Sono finiti in carcere il professor Gabriele Quattrone, 63 anni, di Reggio Calabria, il dottor Franco Antonio Ruffolo, 58 anni, di Rogliano, il dottor Massimiliano Cardamone, 37 anni di Catanzaro e il dottor Arturo Luigi Ambrosio, 75 anni, di Castrolibero. Quest’ultimo ha ottenuto gli arresti domiciliari. Il provvedimento del gip di Catanzaro che ha accolto la tesi del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, ha raggiunto anche due donne Caterina Rizzo, 43 anni, moglie di Antonio Forastefano, oggi collaboratore di giustizia, e Patrizia Sibarelli, 30 anni, moglie di Pasquale Forastefano.
Secondo le accuse Quattrone, nominato perito dalla Corte di appello di Catanzaro per verificare le condizioni di salute di Antonio Forastefano, avrebbe ricevuto dalla moglie del boss cosentino la promessa di una somma di danaro pari a 5.000 euro, in parte ricevuta, nonché l’ulteriore somma di 636, 21 euro da Ambrosio, consulente della difesa di Forastefano, «al fine di redigere un elaborato peritale, attestante una patologia psichiatrica inesistente». Lo stesso medico reggino, sempre nella qualità di perito della Corte catanzarese, avrebbe fornito «un parere mendace, riferendo che le condizioni di salute di Antonio Forastefano erano incompatibili con lo stato di detenzione presso il carcere di Parma che non poteva garantire la necessaria assistenza psichiatrica, psicologica e psicoterapeutica quotidiana». Ambrosio e Ruffolo, come consulenti di parte, «attestavano falsamente che lo stesso Antonio Forastefano era affetto da patologie psichiatriche tali da renderlo incompatibile col sistema carcerario indicando come necessaria la sua allocazione in una struttura clinica esterna al circuito penitenziario». Il medico catanzarese Cardamone, invece, avrebbe dichiarato di non versare in condizioni di incompatibilità con la nomina a perito del tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, nonostante «avesse in precedenza ricevuto incarico di consulenza» da parte della difesa di Nicola Arena. Il professionista avrebbe, inoltre, aiutato l'affiliato al clan Arena «a sottrarsi all’esecuzione della sentenza di condanna ad anni 6 mesi 10 di reclusione». Una sua relazione psichiatrica, infatti, venne «utilizzata per richiedere il differimento della pena, a causa di patologia psichiatriche inesistenti». Un altro medico dipendente di una clinica privata del cosentino è indagato per avere annotato «in cartella clinica fatti mai avvenuti». In particolare, certificava un tentativo di suicidio e le conseguenti operazioni di rianimazione in realtà mai verificatisi.

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Su una spiaggia della Calabria, precisamente quella di Ioppolo, un centro a pochi chilometri daCapo Vaticano, è stato arrestato Roberto Matalone, di 35 anni, un boss conosciuto nell’ambito della criminalità di Rosarno. Il boss è il cognato di Ciccio Pesce, in quanto ha sposato la sorella Maria Grazia ed è coinvolto nell’inchiesta “All Inside“. Ci sono voluti due mesi di indagini e di appostamenti per riuscire a rintracciarlo. Matalone era comodamente seduto al sole su una sdraio, stava leggendo “Cacciatori di mafiosi“, il libro di Andrea Galli che parla anche della cattura di Pesce.

I carabinieri sono riusciti ad arrivare al boss seguendo i movimenti dei familiari, soprattutto quelli della moglie Maria Grazia, la quale spesso di notte si allontanava da Rosarno, per raggiungere Ioppolo, in una villa con piscina e giardino.

Già nelle operazioni contro la ‘ndrangheta a luglio sono finiti in carcere il professor Gabriele Quattrone, il dottor Franco Antonio Ruffolo, il dottor Massimiliano Cardamone, mentre il dottor Arturo Luigi Ambrosio è ai domiciliari. L’inchiesta condotta dai carabinieri del Ros di Catanzaro ha portato a scoprire un giro di corruzione con certificazioni false che i medici concedevano a boss della ‘ndrangheta. Grazie a certificazioni di malattie inesistenti, molto spesso malattie mentali, gli affiliati alla criminalità organizzata riuscivano ad ottenere gli arresti domiciliari.

In molti casi i medici corrotti erano in doppia veste. Prima certificavano la finta malattia dei boss e successivamente si occupavano di verificare la malattia in qualità di periti nominati dai giudici del tribunale di Catanzaro.

Un’altra inchiesta ha portato nella mattina di lunedì 16 luglio all’arresto di 26 persone da parte dei Ros dei carabinieri. L’indagine, denominata Reale 5, ha portato a scoprire delle alleanze trasversali tra i boss della cosca Pelle della ‘ndrangheta di San Luca con altre famiglie di Reggio Calabria e del Piemonte. Per mezzo di queste alleanze tra famiglie, i boss potevano mettere in atto delle strategie comuni e trattare qualsiasi genere di questione, dalla pianificazione di rapine al sostegno per quanto riguarda i latitanti.

Si è scoperto che c’erano delle visite assidue da parte di rappresentanti di cosche del territorio nella casa di Giuseppe Pelle. L’obiettivo era quello di affrontare e risolvere contrasti, oltre che ribadire il rispetto nei confronti della cosca Pelle.

In un’intercettazione si possono sentire queste frasi: “Noi siamo stati sempre una famiglia. A compare Antonio e a tutta la famiglia, a uno per uno… dal piu’ piccolo al piu’ grande. Mi sono sentito che siamo un’unica famiglia“.

A marzo è stata condotta un’operazione contro la ‘ndrangheta nel cosentino dal nome “Tela del ragno“. In totale sono state emesse sessantatre ordinanze di custodia cautelare in un’inchiesta che ha visto indagate ben 250 persone in alcune regioni d’Italia. I carabinieri di Cosenza e del Ros hanno condotto la nuova operazione nella mattina di venerdì 30 marzo, eseguendo le 63 ordinanze di custodia cautelare e diversi sequestri.

In particolare sono stati sequestrati beni del valore di 15 milioni di euro in un’operazione che ha portato all’arresto di persone che sono accusate di essere coinvolte in diversi episodi criminalisoprattutto nella zona tirrenica.

Successivamente alla conclusione delle indagini sono scattate le manette per persone che vengono ritenute coinvolte in affari illeciti per quanto riguarda la gestione di appalti pubblici. Le accuse sono molteplici e riguardano innanzi tutto l’associazione mafiosa.

Ma gli arrestati sono accusati anche di usura, estorsione, omicidi e tentati omicidi. Sembra che a queste persone possano essere fatti ricondurre 12 omicidi e tre tentativi di uccisioni. Si parla in particolare delle guerre tra cosche mafiose negli ultimi 30 anni.

In pratica era stato stipulato un vero e proprio accordo tra le cosche mafiose che avevano deciso di predisporre una tregua, ma questo periodo di tranquillità è durato poco a causa dell’opposizione di alcuni componenti delle cosche.

Nell’operazione condotta dalla Dda di Catanzaro sono state colpite le cosche Lanzino-Locicero di Cosenza (che ha preso il posto di quella dei Perna-Ruà), Muto di Cetraro, Scofano-Mastallo-Ditto-La Rosa e Serpa di Paola, Calvano e Carbone di San Lucido, e Gentile-Besalvo di Amantea.

Sembra anche che erano state le cosche Perna, Cicero, Lanzino e Ruà a stabilire gli assetti di comando da parte dei vari gruppi nel territorio, dettando anche alcune regole comuni con gli altri gruppi della ‘ndrangheta. Altri arresti, in un’operazione che coinvolge 250 persone, sono stati effettuati anche in Lombardia, nel Lazio e nel Veneto.

FONTE

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